Romain Gary: La vita davanti a sé

Il 13 maggio 2015, alle ore 16,30, presso Il Focolare di Ostuni si è tenuto l’ultimo incontro di “Raccontiamoci le nostre letture” programmate per l’anno 2014-2015.

Nell’introduzione, la Prof.ssa Teresa Legrottaglie ha messo in evidenza che oggi come non mai, “tutta la cultura deve essere per tutti”,  a partire da quella che manifesta i bisogni più profondi di ogni persona umana.

Subito dopo la Prof.ssa Marilena Bovenzi ha prima illustrato la poesia “La voce della luce” di un anonimo e poi ha presentato il romanzo “La vita davanti a sé” dello scrittore lituano naturalizzato francese Romain Gary.

La linearità, la semplicità e l’accuratezza con cui la Prof.ssa Bovenzi ha esposto il contenuto del romanzo, ha tenuto la platea in profondo silenzio ed in grande attenzione per tutto il tempo della relazione, cui è seguito un corale “grazie” per aver trasmesso i sentimenti, gli insegnamenti e l’ironia che l’autore aveva accuratamente contemplato nel romanzo.

Come detto, con questo incontro si è concluso il ciclo delle letture 2014-2015, con la speranza di poter riprendere l’attività con il prossimo autunno.

A questo incontro seguirà un altro importante appuntamento, prima della tanto attesa Mostra su "Strumenti e Metodi d'illuminazione, dai Tempi antichi ad oggi" che si terrà dall'8 al 28 agosto nei Locali della nostra Biblioteca Diocesana, per celebrare IL 2015 ANNO INTERNAZIONALE DELLA LUCE E DELLE TECNOLOGIE LEGATE ALLA LUCE.

IL PROSSIMO APPUNTAMENTO quindi,  riguarda LA VISITA GUIDATA A CAVALLINO (LE)  sabato 20 giugno,  per vedere da vicino la realtà presentata nell'Opera dello Scrittore G. Pascali, Il sigillo del Marchese, raccontataci dalla Prof.ssa Bianca Melpignani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mario Luzi

 

25 MARZO 2015 IL FOCOLARE GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA

 

I soci dell’Associazione Amici della Biblioteca Pubblica Diocesana di Ostuni si sono riuniti nell’ambito dell’attività culturale del “Le nostre letture”.

La Prof.ssa Teresa Legrottaglie, Presidente dell’Associazione, ha introdotto il tema della serata che è stato appunto la “Giornata Mondiale della Poesia”. A tal proposito ha messo in evidenza quanto è importante incontrarsi; incontrarsi pur essendo diversi; nell’incontro ognuno deve conservare le proprie caratteristiche; la diversità è ricchezza e incontrarsi non significa unificarsi.

Così la Presidente ha enunciato l’argomento della serata, la cui trattazione è stata affidata alla Prof.ssa Milena D’Amore che ha presentato il mondo poetico di

Mario Luzi

Dove mi porti, mia arte? 
In che paradiso di salute,
di luce e libertà,
arte, per incantesimo mi scorti?

“La poesia è la vita al quadrato. E’ vivere il mondo, il tempo, la presenza umana, la propria incidenza in questo tempo al quadrato; cioè non solo vivere la vita, ma sentire di viverla moltiplicata nella sua consapevolezza, gioia.”

“La poesia è una sfida ferma e coerente alla disumanizzazione del mondo.“

“La poesia è fiore nel deserto; il fiore è la terra, il senso della terra, la luce, il suono della natura, la voce delle creature. Il deserto è il buio della mente, il tempo cancellato, il limite. I miraggi del deserto, i silenzi si trasformano in parole, parole che cercano la luce.”

Parlare di Mario Luzi, poeta plurimo, autore di teatro, saggista, una delle più alte vette della poesia italiana, una fra le voci più alte e limpide della nostra cultura, uno dei poeti più tradotti all’estero non è facile, ma queste sue parole ne riassumono efficacemente l’opera.

Poeta di alta qualità, gentile, raffinato, amabile, conversatore piacevole dall’ironia tipica dei grandi parlava sottovoce con uno strascicato accento toscano. Testimone attento e acuto delle vicende che hanno attraversato il novecento ne rappresenta la terza generazione (1° Ungaretti; 2° Montale; 3° Zanzotto).

Nato alle porte di Firenze, a Castello Fiorentino, il 20 ottobre 1914, all’autunno ha offerto splendidi tributi, così come alla primavera. Nel 1926 è a Rapolano Terme in provincia di Siena; il padre Ciro, impiegato delle ferrovie, è costretto a trasferimenti; Siena è la città della sua adolescenza, della prima formazione, dell’iniziazione all’arte, alla pittura:

“Avevo dodici anni quando vi venni e mi immersi, spaesato ragazzo, nella solarità abbagliante dei suoi marmi e cotti; divenni giorno dopo giorno un adolescente fervido e incantato, smanioso di apprendere. In quei mesi e in quegli anni nacque in me e si sviluppò la passione per l’arte. Nella cornice di Siena tutta la grande civiltà pittorica, scultorea, architettonica italiana si esaltava. Essere a Siena mi esalta . . ., mi ubriaca: Siena è un concentrato di umane sublimità e di estreme follie, una stratificazione di alti disegni della mente umana e di visioni, ma è anche il deserto, il misterioso paesaggio che la circonda”.

Testimonianza di questo amore per Siena è l’opera del 1944 Viaggio terreno e celeste di Simone Martini, forse il suo capolavoro: è il viaggio del ritorno a Siena da Avignone del grande pittore del ‘300 in cui sembra proiettarsi il poeta stesso.

Il poeta come Simone ha scoperto la luce, il più antico dei nomi del Divino.

Fu riconosciuto poeta nel 1940 appena ventiseienne quando era a Firenze, la sua casa, la sua città, dove aveva completato gli studi liceali e si era laureato in lingua e letteratura francese. Così il poeta l’affresca:

“Prima di tutto è casa mia, dove ho conosciuto le prime cose del mondo: la luce, l’ombra, il suono, la pronuncia delle parole, il rapporto tra le parole e le cose. Mi sono costituito interiormente il mito di Firenze, un locus spirituale, mentale, considerandola come un vertice, della nostra lingua, della nostra storia, della nostra cultura. Si pensi al mistero della cupola del Duomo, la sfida di Brunelleschi alla razionalità matematica o alla Divina Commedia, la ragione arrivata agli  estremi e oltre ... Mi piace stare qui, essere qui; ne sono stato sempre fiero, e ne sono voluto diventare degno. Firenze è per me una sorta di mito.”

In Santa Croce una lapide commemorativa lo ricorda tra “le itale gioie”.

Esordisce come poeta negli anni prima della guerra; nel 1935 il battesimo poetico con la raccolta LA BARCA, il libro archetipico della poesia del suo tempo, il simbolo di un viaggio iniziato all’età di vent’anni, “l’emozione di un primo contatto consapevole con la vita”, il sentire della giovinezza per certi aspetti ancora fragile e acero, un poemetto dedicato alla vita, all’avvenire; l’opera già matura di un poeta giovanissimo nel solco dell’ermetismo fiorentino.

Nei versi avverte l’amore forte per la filosofia, un amore che resterà vivo anche nella produzione matura e senile.

Un’atmosfera magica e dolce si respira nei versi Alla vita; c’è la visione della vita nella complessità del mondo inteso come cosmo in divenire, una radice di speranza e di fede, la visione di “una verità che procede/intrepida”, la presenza certa di Dio: ci aspetta un viaggio, amici, una navigazione alla ricerca di se stessi e delle fonti che ci hanno dato origine.

Profondo conoscitore della letteratura francese ha tradotto poeti e letterati come Verlaine e Rimbaud; significativo per la sua formazione il contatto con il gruppo degli ermetici con cui strinse rapporti di amicizia: Bigongiari, Carlo Bo, il salentino Macrì, Gatto.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la presenza tragica della guerra si fa nella sua poesia paesaggio cupo e silenzio ossessionante. I versi di UN BRINDISI, della raccolta che porta lo stesso titolo (1940-44), sono la prefigurazione del dramma e della violenza della guerra che mette a soqquadro il falso olimpo in cui molti credono. La guerra con l’odio e a disperazione è disintegrazione, fisica e morale, dell’individuo. Il dramma è reso nei suoi termini universali, non legato a circostanze esterne e non disperso in una cronaca o in una polemica, scarnificato in gesti, in esclamazioni, in visioni, in una tensione di morte.

Alla caduta del fascismo Luzi tentò di redigere per La Nazione un manifesto liberal-socialista, bloccato dalla polizia di Badoglio.

Si è misurato con la storia e la politica dagli anni del fascismo al crollo della prima Repubblica, fino alla nomina a Senatore nel 2004, ricevuta da Ciampi con questa motivazione: “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo letterario e artistico. Sempre molto ferme e a sinistra le sue posizioni sulla vicenda politica italiana tanto da ricevere insulti dalla destra ex fascista; da non trascurare la posizione antiberlusconiana.

La sua attività di docente si è sviluppata tra i licei e le università di Firenze e di Urbino; numerose le testate per le quali ha scritto a partire da Il Frontespizio e Campo di Marte.

All’indomani della guerra, la sua poesia assume forme più ampie e discorsive e si apre ad una tematica più complessa che riflette i dubbi e le inquietudini dell’uomo contemporaneo: il poeta esplora il mondo e i personaggi reali, si misura con la realtà, propone una riflessione etica e civile, ripensa la situazione politica: Primizie del deserto (1952); Onore del vero (1957); nel Magma (1963, sua musa F. Bacchiega).

La parola poetica è l’unico mezzo con cui poter superare l’incomunicabilità propria dell’uomo contemporaneo; Luzi ha creduto fortemente nella poesia e ha dedicato tutta la vita alla difesa della parola: “la poesia è un’espressione di parole dense di sensi”.

Vola alta la parola, manifesto programmatico, un inno alla parola; dalla raccolta Per il battesimo dei nostri frammenti. In forma di preghiera, il poeta celebra i poteri della parola poetica, capace di illuminare e di rilevare la verità, ma allo stesso tempo esprime i timori legati al rischio di uno svuotarsi di significato, per diventare una fredda astrazione priva del senso e del calore che il soggetto le ha dato, in questo mondo moderno che produce automaticamente e velocemente cose non richieste dall’uomo.

La parola, per dirla con Luzi, è tutto . . . è i Verbo; è il segno primario del divino nell’uomo. Che uno sia credente o no, la parola ha qualcosa di sacro. La parola deve essere luce per chi scrive e per chi legge e non solo bellezza priva di calore; deve illuminare la verità insita nell’animo, l’insieme di speranze e di dolori, di attese e sofferenze. La parola si fa memoria, dà voce all’anima, è vita; è la via per trasmettere ad altri il capitale di sapienza umana acquisito e che consente di progredire.

La storia della poesia è storia della parola.

Profondo il sentimento religioso di questo “poeta cristiano” combattuto tra la ferma convinzione della bontà del credo e il tormento di non poterlo esprimere con parole adeguate e che ha vissuto il Cristianesimo essenzialmente come una via di ricerca, di perfettibilità.

“Io non sono un uomo di Chiesa, ma il cristianesimo è implicito a tutto quello che io ho pensato e scritto. Il cristianesimo l’ho ricevuto primamente da mia madre, un cristianesimo primario che ho poi immerso nei miei studi, fortificandolo, trasportandolo in un orizzonte più vasto: c’è stata una continuità anche quando pareva che non ci fosse, quando mi sono staccato dalla famiglia, dalla stretta esemplarità di mia madre”.

Riconosce come suoi maestri Sant’Agostino, Dante, Racine, Pascal, Mauriac e il cristianesimo lo avvicina alla natura e alla storia, gli elementi dell’una e gli uomini ed eventi della seconda gli si trasfigurano religiosamente e il mondo diventa una foresta di simboli che aprono spiragli su verità metafisiche.

“Non startene nascosto” da Frasi e incisi di un canto popolare è una preghiera, un’invocazione a Dio affinché si manifesti apertamente e non rimanga nascosto dietro segni di difficile interpretazione. Evidente il riferimento al Cristo attraverso cui l’Assoluto si manifesta e si nasconde: l’Incarnazione è infatti il mistero più grande.

Contrasto tra il tempo e l’eternità, fra la vita del soggetto e la vita del tutto, fra l’apparenza fenomenica e l’essenza nascosta sono i motivi che dominano la sua poesia dalle prime raccolte alle ultime.

Il mondo è costruito in modo perfetto secondo un ordine, un progetto universale preciso di cui Dio è il garante, e nel meraviglioso ciclo vitale ogni creatura ha una propria collocazione in un armonico compenetrarsi (Mondo non sono circoscritto in me; Ancora un po’ assonnata) da Sotto specie umana, Il diario di Malagugini, il suo alter ego (anni 90).

Il mondo è Bellezza e Dio è causa della bellezza, che traluce da tutto, che ci incanta, e innalza i pensieri della mente quando questa cala giù a precipizio nello sgomento (Bellezza) da Dottrina dell’estremo principiante (2004).

Nell’esaltazione della vita il poeta non dimentica di approfondire la presenza del dolore, del male, di capire il male, principio che sfugge all’intelligenza umana, di avere un dialogo con Dio. Esiste un progetto, una legge che sovrasta la vita anche quando questa sembra assaltare la sua prole come un’orsa cieca (Perché vita): il dolore e il male sono dei passaggi obbligati, necessari attraverso cui l’uomo si forgia, cresce, arriva ad uno stato di gioia, a Dio. La gioia della vita si perpetua attraverso il dolore e la morte e il prodigio della vita si ripresenta continuamente. La vita è più grande della Storia, di noi, del nostro destino e della sorte della nostra specie.

La vita è una prova, una gara continua; e la poesia può servire a sentirne l’enigma nel suo bene e nel suo male (Bene e male da Dottrina dell’estremo principiante, Non sempre a viso aperto).

L’eterno dolore dell’uomo, dell’esistenza umana, il limite della conoscenza umana sono illuminate dalla luce della speranza.

Figura centrale nell’esistenza e nella produzione di Luzi è la madre, Margherita Papini, donna semplice, figura malinconica, ma serena, ispiratrice del senso religioso della vita, come egli stesso afferma: “ un mondo  di religione contadina ed elementare ma introflesso e pensato e molto intensamente vissuto. Questo mi ha incantato il lei, al di là del grande affetto che ci legava, mi affascinava il suo trasportare tutte le cose in una interiorità che forse la società modesta in cui si viveva allora non sentiva come bisogno primario. Il cristianesimo è stato prima di tutto un’ammirazione e un’imitazione di mia madre”.

“Ero molto innamorato di mia madre, mi piaceva mia madre, tutto quello che faceva mi piaceva, come usava le mani, come sorrideva e quando era triste e questo mi abbatteva molto, io ero molto legato ai suoi sentimenti, si riflettevano molto su di me, mi era impossibile essere allegro quando la vedevo così”.

“Il giusto della vita”, volume che raccoglie l’opera poetica di Luzi dal ’35 al ’57, porta la dedica  ‘Alla memoria della madre’ ed ha in epigrafe un testo del ’51 Parca-Villaggio in cui si realizza l’identificazione tra la madre, custode delle memorie familiari, e la Parca, la divinità, la vecchia donna guardiana del tempo, nella figura femminile che rassicura il poeta sulla sua possibilità di proteggere la continuità fra le generazioni, di cucire il passato con il presente (Parca-Villaggio).

La realtà umile e povera della campagna materna viene cantata dal poeta con la volontà di identificarsi non per i valori religiosi, ma anche per le qualità umane che essa preserva (Amia madre dalla sua vecchia casa, da Onore del vero).

Inno alla maternità è Madre, madre mia da Per il battesimo 1985: è la madre che ci rende esseri molto amati perché sa prenderci, tenerci stretti, accoglierci, ci insegna ad amare. “L’amore aiuta a vivere, e a durare, l’amore annulla e dà principio”.

Le emozioni sofferte per la morte della madre (1959) dettano al poeta meditazioni sulla “inessenzialità dell’esistere” e sull’alternativa della trascendenza cristiana per cui ella è “viva ora più di prima” in Siesta, Dal fondo delle campagne; la sua immagine familiare diviene un punto fisso di speranza e di paragone a cui rivolgersi quando l’angoscia del fluire del tempo è vinta dalla certezza dell’eternità in ”Il duro filamento”.

Il vuoto incolmabile della perdita, la smisurata e irriducibile assenza diventano una presenza acuta: “ la madre che ti dà la vita non muore per nulla, anzi è dentro il futuro”; ”quando mia madre è morta ho sentito che il carico delle sue parole, degli insegnamenti, degli esempi si trasferiva in me, si incarnava nelle mie parole nei gesti nelle azioni. E’ il miracolo che si perpetua della tradizione, del passaggio di mani”.

La madre, come tutte le figure femminili, la donna, la Madonna, la natura, l’arte, simbolo della continuità dell’esistenza, è una presenza viva e costante, dialoga con il poeta sia in vita, proiettata nel futuro come ‘ombra’ sia quando scomparsa è “viva più di prima”.

La madre, sua madre, da persona concreta e reale diviene figura altamente poetica . . . immortale. Il poeta amato dai giovani e meno giovani per il suo impegno civile ed etico ha prodotto poesie indimenticabili sulla donna, sulla nostra bandiera, contro la pena di morte, sul conflitto in Medio Oriente, sulle Torri Gemelle, sulla guerra su tutte le guerre; opere per il teatro come Ipazia (1971), interpretata da Ilaria Occhini; Rosales (1983)da Giorgio Albertazzi, Histrio (Trilogia del potere). Pagine splendide, in cui il poeta riflette sul mistero del male, sono quelle de “Il fiore del dolore”, scritte nel 2003 in occasione della morte, per mano della mafia, di don Puglisi difensore della fraternità, della giustizia, del cristianesimo.

Un inno alla pace i versi scritti dopo l’attentato a Firenze all’Accademia dei Georgofili nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993. Firenze è ferita e bagnata di sangue per l’esplosione di mano mafiosa e i monaci di San Miniato al Monte chiedono a Luzi di unire alla loro preghiera la sua voce poetica, e questi compone una celeste invocazione: Sia detto per te, Firenze; versi di grande forza che furono letti in aula durante il processo per le stragi.

Nel 2001 l’attentato alle Torri Gemelle, e la voce del poeta si alza per invitare tutti a dimettere la propria alterigia e a garantire la pace. Le torri un giorno risorgeranno non più come simbolo di ricchezza, di potere, ma segnacoli di pace e luoghi di preghiera. Lo scempio delle due torri ci colpisce per la sua ferocia, dice Luzi, ma occorre alzare la voce per i milioni di morti innocenti, e per le grandi ingiustizie che traboccano, travalicano ogni limite e infrangono le regole: ‘Dimettete la vostra alterigia’.

Un inno all’amore i versi de “La giovane Ebrea al suo amato musulmano”: Luzi inventa uno struggente dialogo tra due giovani innamorati:


C’è una pozza di sangue tra te e me
Mio dio, chi l’ha versato?
Chiunque sia stato,
Caro, è sangue sprecato
Ma io so che l’amore
Mio, se mi aprirai le braccia,
Potrà vederlo asciugato.
Vieni, non tardare.

 

Il dialogo nasce dal bisogno di cercare in Palestina una pacifica convivenza. Il sangue che bagna continuamente queste terre è sangue sprecato e può essere asciugato solo aprendo le braccia del dialogo.

I versi per i drammatici scontri in Palestina: Madre araba che vede cadere le bombe e piange il figlio perseguitato; La madre ebrea che vive tra attentati, violenze e sangue; La passione dei nuovi Romeo e Giulietta a Gerusalemme sono stati cantati da L. Bertè in uno spettacolo allestito da C. Fracci.
Un inno alla fede, un’invocazione, una preghiera è La passione, via Crucis al Colosseo. Il testo per le meditazioni venne richiesto al poeta per la Via Crucis della Pasqua del 1999 da Giovanni Paolo II.

In un interrotto monologo Gesù, unico agonista, nella tribolazione della Via Crucis confida al padre la sua angoscia, i suoi pensieri dibattuti tra il divino e l’umano, la sua affiliazione. La qualità del monologo è il senso dell’umano: accanto alla storia prendono spazio il pensiero, la paura, le angosce, la preghiera. Cristo nella sua sofferenza e nell’aver accettato dalle mani del Padre la prova della morte appare solidale con l’uomo, e il cammino degli uomini perpetua il cammino di Cristo, fatto uomo e dagli uomini messo in Croce.

La sua Passione è progressione dolorosa al ricongiungimento con il Padre e cammino mortale verso la Resurrezione.

Per quanto riguarda lo stile si passa nel suo itinerario poetico da una metrica tradizionale e da un lessico e sintassi largamente debitori della tradizione letteraria italiana ed europea ad una “poesia prosastica” dai versi lunghi e irregolari, dal lessico aperto ai registri della conversazione quotidiana; in alcune liriche la metrica ricorda da vicino le preghiere e le litanie. “La preghiera comincia dove finisce la poesia, quando la parola non serve più e occorre un linguaggio altro”.

Credere nella poesia per Luzi è stato credere nella continuità della creazione, a un movimento naturale che non si arresta, a cui è impossibile sottrarsi.

Chiudiamo con il verso misterioso inciso sullo schienale della sua “panchina vuota” dinnanzi allo scenario della Valdorcia, a Pienza, il luogo della quiete e del suo riposo estivo per più di trenta anni:

“Lo sfolgorio d’oro dei platani s’inciela”,

come emblema della sua poesia, la poesia della solitudine, dell’attesa, della vertigine.

A conclusione della relazione sono seguiti interventi di apprezzamento per la puntualità e la ricchezza di argomentazioni con cui la Prof.ssa D’Amore ha presentato il suo lavoro.

 

 

 

 


 

 

Marguerite

 

Il giorno 11 marzo 2015, alle ore 16,30, “ l’Associazione Amici della Biblioteca Pubblica Diocesana di Ostuni” ha riunito i soci nell’ambito dell’attività culturale della rassegna de “Le nostre letture”.

La Prof.ssa Teresa Legrottaglie, Presidente dell’Associazione, ha dato inizio ai lavori, citando il Prof. Giovanni Grandi, docente presso l’Università di Padova, il quale afferma:  “Essere connessi sembra sia il grande imperativo dell’era digitale: uscire dalla rete, sia pure temporaneamente, è un po’ come perdere pezzi di vita. In quest’ansia di collegamento si riflettono desideri di sempre: essere riconosciuti, potersi incontrare…comunicare e condividere”.

Se incontrarsi è fondamentale, nel nostro tempo è molto facile “aggregarsi intorno al NO” e invece noi vorremmo creare spazi per “costruire il NOI”.

Continuando, la Presidente ha ricordato Giorgio Gaber per il quale “L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme. L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. Sarei certo di cambiare la mia vita, se potessi cominciare a dire NOI”.

Con l’augurio di vivere i nostri incontri in un clima di profonda partecipazione e condivisione, la Presidente ha passato la parola all’Ins. Germana Quartulli che ha presentato il romanzo di Sandra Petrignani

“Marguerite”

La relatrice ha messo subito in evidenza l’importanza dello stare insieme ed ha precisato che l’incontro è positivo quando porta all’inclusione; invece lo scontro porta all’esclusione.

Quindi la stessa ha iniziato a parlare di Marguerite Duras (Saigon 04.04.1914 – Parigi 03.03.1996) che è stata scrittrice, sceneggiatrice e regista. La relatrice ha poi illustrato la storia di Nenè, così Marguerite veniva chiamata durante l’infanzia, con estrema precisione e competenza, intervallata da letture di brani del romanzo, lette dall’Ins. Laura Geri. Molto apprezzabile la comunicazione non solo nei fatti e negli avvenimenti, ma soprattutto nel presentarci gli stati d’animo ed i sentimenti della protagonista che aveva avuto una esperienza di vita unica, intessuta fra il colonialismo francese in Indocina, fra Resistenza in Francia ed il partito comunista francese cui prima aderì, poi si ribellò e infine fu espulsa.

Sandra Petrignani, autrice del libro, ha  ricostruito la storia della vita della Duras attraverso gli scritti e con la visita dei luoghi vissuti dalla stessa, sia in Indocina che in Francia. La capacità dell’Ins. Quartulli di far rivivere al pubblico presente diversi momenti di sregolatezza della vita di Nenè ed i sentimenti di amore che ha sempre avuto verso i più deboli sono stati i punti di forza della serata.

Gli spunti di riflessione del Dr. Enrico Ciola che ha invitato tutti ad un profondo sguardo introspettivo, hanno dato vita ad una vivace conversazione in cui ognuno dei presenti ha espresso il proprio pensiero, approvando ed integrando quanto man mano veniva comunicato. Una serata davvero bella e ricca di proposte interessanti.

 

 

 


 

 

Il sigillo del Marchese

Dopo le feste di fine anno, mercoledì 11 febbraio 2015, alle ore 16,30, presso “Il Focolare”, l’Associazione Amici della Biblioteca Pubblica Diocesana di Ostuni ha ripreso l’attività culturale con la rassegna de “Le nostre letture”.

Il saluto della Prof.ssa Teresa Legrottaglie, presidente dell’Associazione, ha dato inizio all’incontro letterario.

La Prof.ssa Bianca MELPIGNANI ha presentato il romanzo di Giuseppe Pascali

“Il sigillo del Marchese”

La stessa ha iniziato con alcune citazioni di Victor Hugo quale elogio dell’arte letteraria: “I popoli si valutano dalla loro letteratura”; “Le scuole sono i punti luce dell’umanità”; “La letteratura batte l’odio”.

Poi la Prof.ssa Melpignani ha raccontato il romanzo storico “Il sigillo del Marchese” , storia vera di Cavallino (LE) accaduta nel 1600.

Dire che la Prof.ssa ha raccontato è riduttivo, perché è più verosimile dire che grazie alla sua capacità di comunicare ci ha fatto vivere i luoghi, le scene e i personaggi del romanzo, tenendo sempre alta l’attenzione degli oltre 50 intervenuti.

 

 

 


 

Raccontiamo le nostre letture anno sociale 2009-2010